mercoledì 5 ottobre 2011

Strangeways, Here We GROW UP


Un nome, una band. Un nome forse fin troppo lineare, che non racchiude la complessità della loro essenza. Ma perché ho deciso di dedicare loro uno spazio sul mio blog, nonostante in questo periodo non siano usciti alla ribalta con qualche notizia, o non decorra nessun particolare anniversario? Semplice: perché ricordo l'istante preciso in cui mi innamorai della loro musica, dov'ero e con chi, cosa stavo facendo e a cosa stavo pensando. Non sono tanti gli artisti di cui riesco ancora ed evocare le coordinate della primissima volta in cui li ho ascoltati, ma gli Smiths sono indubbiamente tra questi.
Nella mia seppur breve esistenza ho letto molti romanzi ma non sono in grado di collegare a nessun'altra lettura la folgorazione che mi ha invaso la prima volta che mi sono cimentata con le loro liriche: tutte queste allusioni ad un'adolescenza tormentata, alla tristezza che invade le menti di ragazzini speranzosi, alla negatività di una vita che mai ti ripaga, alla morte che pare attenderti a braccia aperte, a diavoli tentatori che fanno salire nelle loro auto giovinetti innocenti per trasformarli in uomini... erano riferimenti talmente sconvolgenti da risultare assurdi.
Eppure questa loro illogicità era imbarazzantemente vera, e non era necessario essere nel pieno della pubertà per comprenderla. Già perché gli Smiths, romantici sognatori tormentati equiparabili a Keats e Baudelaire, erano in grado di dar voce alle difficoltà che si incontrano in quel difficile periodo di crescita dove pare essere gli unici destinatari di un crudele destino. Ecco quindi che i testi di Morrissey ci vengono in soccorso dandoci tutte le risposte necessarie senza bisogno di chiederle, e le melanconiche melodie che ne accompagnano i testi si trasformano nella inimitabile colonna sonora dei nostri sogni infranti.
Un gruppo celebre di cui pochi hanno sentito parlare, nonostante alcuni loro brani siano conosciuti ai più, eppure quando li cito sono in molti a strabuzzare gli occhi. Formatisi a Manchester, questo quartetto manovra come nessun altro prima di lui inquietudine, energia ed eleganza, grazie all'amalgama tra un chitarrista rigoglioso di idee e un paroliere d'eccezione che ci obbliga ad abbondare con le contraddizioni qualificatrici: eccentrici esteti, esibizionisti introversi, androgini cerebrali...nulla è mai troppo quando si evoca uno dei gruppi più strabilianti dei magnifici anni '80.