giovedì 14 aprile 2011

[°REC]


Un martedì sera come tanti, ma un film in programma come pochi. Nonostante Rec sia uscito quasi 3 anni fa, soltanto ieri ho avuto occasione di guardarlo, e il mio scetticismo era già lì che fremeva pensando immediatamente a The Blair Witch Project, anch’esso caratterizzato dalle riprese finto-amatoriali delle camere casalinghe.

Ma una volta acceso il lettore dvd ho dovuto proprio ricredermi. L’horror iberico ancora una volta si rivela all’altezza del genere.

Premetto che
Rec è girato interamente in digitale, con l’uso costante della camera a mano. Questo particolare è il carattere più distintivo dell’intera pellicola, interessante non tanto per la trama quanto proprio per lo stile e la tecnica registica. L’incipit, deliberatamente fiacco e povero d’azione, funge da introduzione alla narrazione principale. Se inizialmente la mobilità e l’indecisione delle riprese possono disturbare la visione, successivamente questo carattere di amatorialità non fa che accrescere la partecipazione emotiva alle vicende riprese. In un crescendo di tensione e dubbio, il quadro di litigi condominiali si tinge di rosso, come il sangue che inizia a scorre nella cornice claustrofobica dell’abitato.
Intrappolati come topi, i personaggi, che rispecchiano velatamente le ipocrisie e i difetti umani, tentano di sopravvivere, costantemente sotto l’occhio impiet
oso della camera televisiva, avara di immagini, anche crudeli e violente, insaziabile nel suo bisogno di filmare la realtà. Da qui, parte inevitabilmente un riferimento diretto al voyerismo di televisione e cinema, implacabile nell’immortalare tutto ciò che può diventare spettacolo.
Abbondano i virtuosismi visivi della regia, che giustifica con l’artigianalità delle riprese le frequenti
inquadrature angolate, inclinate, ribassate o irrazionalmente mobili. Lo sguardo filmico è interamente soggettivo ed il montaggio è ridotto alla composizione di lunghissimi piano-sequenza. Ottimo l’uso del sonoro, volontariamente non-professionale, discontinuo, con inquadrature in cui il parlato non è corrisposto dalle immagini sullo schermo. Sono presenti anche interessanti effetti che legano il film con la tradizione dell’elaborazione video, come il bellissimo riavvolgimento della pellicola sulla scena dell’omicidio della donna anziana.
Per coloro che cercano brividi e salti sulla poltrona, Rec provvede anche da questo punto di vista. Il crescendo dell’ansia e l’ambiente ristretto portano ad un’altissima tensione, che sfocia in picchi di reale spavento, talvolta inaspettati, talvolta prevedibili, ma in entrami i casi di grande effetto. Con una non eccessiva presenza di elementi splatter, il film crea un’atmosfera decisamente disturbante, per la scarsità di informazioni, i colpi di scena, ma soprattutto per la capacità che le immagini hanno di catapultare lo spettatore nel claustrofobico mondo catturato dalla telecamera.
In meno di un’ora e mezzo, Rec infonde il germe del dubbio e quel velo di inquietudine, ultimamente non facile da provocare, che spinge a guardarsi le spalle quando siamo al buio…

lunedì 11 aprile 2011

CHI HA UCCISO LAURA PALMER?


L'8 aprile del 1990 David Lynch faceva il suo debutto in prima serata sul network americano ABC. Twin Peaks diventa subito un fenomeno popolare di tutto rispetto, e le varie citazioni apparse nei Simpson e in un episodio Disney ne sono l'esempio tangibile. La frase tormentone che più rappresentò il telefilm fu senza alcun dubbio «Chi ha ucciso Laura Palmer?», domanda chiave da cui si snodava l'intera trama e che raccolse i consensi di 22 milioni di telespettatori
nell'arco di due serie, per un totale di 20 episodi da 45 minuti l'uno.
Ma che cosa determinò un tale successo di pubblico? Difficile fornire una risposta razionale, considerando che all'oggetto della domanda l'aggettivo razionale non si attaglia per niente. Partiamo dalla trama. La serie inizia come un thriller piuttosto convenzionale: a Twin Peaks, cittadina dello Stato di Washington, sulla battigia di un fiume viene rinvenuto il corpo di Laura Palmer, la reginetta del locale liceo e c'è un agente speciale dell'Fbi che si getta anima e corpo sull'indagine. Fin qui tutto prevedibile ma… volete che David Lynch, l'autore del folle Eraiserhead, giri un thriller qualsiasi? Ecco allora che il detective (l'unico forestiero, il rappresentante del mondo "reale") si ritrova risucchiato in un'inquietante spirale di follia, tra uomini senza braccia che recitano versi oscuri, nani ballerini, misteriosi giganti e scambi di anime. Come dire: se esiste un inferno, deve somigliare molto alla piccola Twin Peaks. C'è poco da meravigliarsi, allora, se il nostro agente speciale finisce col tirare testate contro uno specchio.
Le coordinate del plot sono perfettamente lynchiane, hanno una forte componente surrealista e alternano magistralmente sequenze angosciose ed oniriche trainate da suggestive colonne sonore. Semmai ci sarebbe da chiedersi cosa ci facesse, in prima serata su un network così importante, un regista indipendente del tutto al di fuori dagli schemi. L'esperimento però ha il merito di funzionare in termini commerciali, che è poi l'unico aspetto che stava a cuore a chi ci aveva scommesso su fior di quattrini. All'epoca nessuno vide la cosa in questi termini, eppure Twin Peaks aprì di fatto le porte ai serial televisivi di grande qualità. Per dirne una: senza Laura Palmer non avremmo avuto i naufraghi di Lost.
Altra domanda lecita è che cosa il pubblico medio di mezzo mondo ci abbia potuto capire da una trama così contorta. Di sicuro ci fu chi cominciò a guardare questo telefilm credendolo un thriller come tanti e lo abbandonò per strada appena perse il bandolo della matassa. Qualche altro continuò a guardarlo, pur non capendoci granché, per vedere come sisarebbe conclusa l'intera vicenda. Qualche altro ancora, come Homer Simpson nella puntata del cartoon che rende omaggio al serial, guardò con espressione interdetta il cavallo bianco danzare su due zampe e poi gridò: «Wow! Mitico!». Ma è così che si fanno le grandi produzioni televisive.

lunedì 4 aprile 2011

LA MODA DEL MOMENTO

Se qualche mese fa ad impazzare era Wikileaks, altri segreti stanno ora per essere svelati da un nuovo sito internet che fa già tremare il mondo intero: Porn Wikileaks. Un giornalista "porno" arrabbiato con la suddetta industria cinematografica ha infatti pensato bene di diventare il Juliane Assange della situazione, rendendo noti nomi, indirizzi, documenti e perfino fotografie di case tratte da Google Maps. A quanto pare svelare "scabrose" notizie è in tutto e per tutto la moda del momento, su questo non ci piove, anche se in questo caso si tratta più che altro di gossip malriuscito generato per infangare gente REA di nascondere un passato lussureggiante.
Le personalità investite hanno già raggiunto quota 23.000, e la fonte di queste succulente notizie sarebbe il database dell'Adult Industry Medical Healthcare Foundation di Los Angeles, attiva fin dal 1998, nata a fin di bene come centro per test anti-aids e anti-malattie veneree dei lavoratori di un’industria che non impone l’uso del preservativo, se non nei film diretti specificamente al mercato gay. Il sito è stato registrato in Olanda già da alcune settimane, ma soltanto di recente è stata svelata la sua esistenza dal blogger Mike South.
Se per Jenna Jameson, Seymore Butts o Briana Banks ciò non rappresenta un problema in quanto non esiste un confine tra la loro vita privata e quella pubblica, per i circa 1.500 attori che hanno partecipato a pellicole hard in maniera anonima la rottura di questo argine può essere devastante. Già due insegnanti sarebbero stati licenziati proprio perché i loro nomi sono apparsi in questa lista, e gli scandali non accennano a fermarsi, dato che in molti hanno per anni tenuto nascosta la loro reale fonte di guadagno, abbandonando poi definitivamente questa professione per dedicarsi ad una vita che può tranquillamente essere raccontata.
Tanto chiasso dunque, che sta bruscamente minando intere famiglie "colpevoli" di avere un ex porno attore tra le loro fila. L'ideatore del sito ha annunciato che lo scopo sarebbe cacciare i gay da quest'industria poiché a suo avviso la stanno letteralmente rovinando, visto che si deve alla loro presenza l'obbligo del preservativo imposto dal Governo. Un'aspra battaglia dai sapori discriminatori quindi. Sicuramente non sono in grado di dire se questo sia il vero motivo o meno, ma una cosa è certa: per allontanare alcune persone ne sono state colpite molte altre, e non è vero che il fine giustifica i mezzi, come generalmente si suol dire. E in questo caso nessun mezzo sarebbe comunque giustificato essendo il fine per me illogico e inammissibile.


...e il gelato compie gli anni


3 aprile 2011: una data come tante, in cui le ricorrenze da festeggiare non si contano. Google ha scelto di omaggiare il 119esimo anniversario della prima apparizione documentata del gelato sundae, creato ad Ithaca (New York) il 3 aprile 1892 da John M. Scott, ministro umanitarista, e Chester Platt, co-proprietario della Platt & Colt Pharmacy. Conosciuto in Italia quasi unicamente in associazione con una celebre catena di fast food, questa leccornia ha seguaci in tutto il mondo, e il nuovo doodle del noto motore di ricerca ce lo dimostra. Una scelta un po' azzardata e probabilmente incompresa dai più, che avrebbero preferito celebrare invece il primo numero della Gazzetta dello Sport (notizia alquanto fondamentale per un popolo come quello italiano che vive di solo calcio!), oppure la firma del Piano Marshall da parte del presidente USA Harry Truman, o ancora l'uscita del celeberrimo francobollo "Gronchi Rosa", fino ad arrivare al lancio nel 2009 del Nintendo DS e all'avvio delle vendite dell'iPad negli States. Beh Google ci ha sorpreso, ha deciso di andare controcorrente. Forse per sdrammatizzare gli ultimi dolorosi avvenimenti, forse per l'arrivo della primavera, o più semplicemente perché tutto sommato siamo tutti dei gran golosoni!!